martedì 21 ottobre 2014

Allevio l'anima e la mancanza con lunghe poesie.
Poso le armi, bevo caffè.
Ti penso in spazi vuoti, in transizioni temporali.
Ignoro la tua assenza.
Le passeggiate serali sono lo sfondo di immagini nascoste, 
di te che mi tocchi i seni, mi respiri sul collo, mi tiri i capelli, mi assaggi con violenza.
Luoghi fugaci delle mie fantasie lontane.
Apro un libro e bevo caffè.
Dipingo futuri con la mia penna e scrivo per te.

_Daichi Chou_ 

sabato 13 settembre 2014


Aprire la porta e trovarti dentro, dove dovresti essere: nel mio mondo.
Passeggiare le ore, tenersi per mano.
Non nascondere nulla, mostrasi al mondo.
Avere la libertà di chiamarti ogni ora, sentire la tua voce.
Non provare più vergogna né dolore. Non guardarti indietro, non rimpiangere.
Credere che anche le anime affini, che si sfiorano appena e poi si separano, che si desiderano e poi si perdono, alla fine trovano la strada.
E io torno da te.

giovedì 5 giugno 2014

L'importanza delle mani

In quel giorno di calma, persi tra i colori delle persone ed i profumi, avrei voluto prendere la tua mano.

Avremmo potuto passeggiare fianco a fianco fra i banchi, in silenzio, fra i chioschi del pesce e di frutti speziati.

Avremmo aperto uno spazio sulla strada, colma di spettatori. 
Tutti frenetici, ammassati, rumorosi. Tutti in attesa di vedere qualcosa di straordinario.
E saremmo stati noi il loro spettacolo?

Ma io non lo feci, non ti presi la mano.
Ti lasciai proseguire. Camminasti fino alla stazione. Io ti sorridevo e tu mi sorridevi. 
E alla fine, guardandoti indietro fino all'ultimo momento, tu prendesti il treno. E io ti sorridevo.

Avrei potuto stringerti e quel treno, la città, il mare non ci avrebbero più separato.
Ci saremmo cullati l'uno nel palmo della mano dell'altro fino alla fine del mercato.



lunedì 18 marzo 2013

Terrò il tuo viso nel cassetto più profondo e nascosto di me.
Non posso tenerlo in bella vista, poggiato lì, proprio sui miei pensieri.
Non posso mostrarlo al pubblico come fosse un gioiello da esposizione, ho paura del giudizio degli altri, ho paura di far vedere che tu, in qualche orribile e perverso modo, sei ancora con me.
Si, tu sei ancora con me e io non sono ingenua, ho le mie ragione per dirlo, non è un atto di stupidità, quanto uno di fede: sebbene le circostanze dicano il contrario, i tuoi occhi e quella loro espressione particolare che era imbronciata, paurosa, meravigliata e pensierosa al tempo stesso, ecco, quegli occhi sono miei.
Ho questo peso, questo senso di appartenenza irrealizzato che spesso emerge, che io sento, sento che ce l'ho dentro ma lo riconosco solo io.
Sarò pazza ( sicuramente) ma è così.
E non sono solo gli occhi: è la voglia di possedere la tua anima... il tuo spirito a cui mi sentivo tanto vicina, più del suolo su cui camminavo e dei vestiti che indossavo. La tua anima aderiva su di me. Era perfetta. Semplicemente tu non me la lasciavi toccare.
Ed è per questo che ho soffocato ogni lacrima, ogni sentimento. Non voglio essere come un cane affamato e costretto alla catena o una bambina che piange perché gli viene tolto il giocattolo preferito.
Ho indebolito il mio amore per non ferire me stessa.
Ecco cosa è successo.
Ma contro la mia stessa volontà loro ci sono, quei sentimenti non sono morti.

Forse io, un po' lo sono.

Ma come posso impedire a questa sensazione di riemergere non appena abbasso la guardia?
Dimmi tu come liberarmi da queste assurde illusioni.
Uccidi in me quel che rimane di te, ti prego.
Sono stanca delle aspirazioni negate, di questa energia che con tutte le forze emano, che echeggia e si diffonde, cerca risposta e non la trova.
è un onda che non arriva mai a te, si esaurisce sulla sabbia.
Si infrange contro la realtà.

Liberami ora da ogni tuo ricordo.



__Daichi Chou___

venerdì 15 febbraio 2013

So ridere di eventi passati e non,
di cose che vedo ogni giorno e di quelle che preferirei non vedere.
Ho saputo ridere dei miei sforzi, spesso ingenui, spesso incompresi. Ma solo dopo.
Ora so ridere dei miei sbagli, so che non mi pento di ogni sciocchezza che ho compiuto, di ogni frase che avrei potuto non dire.
Non mi so trattenere, non so dire di "no"...ma so ridere anche di questo.
E nulla importa, perché oggi so guardarti, dritto negli occhi, ridere,

e andare via.


_Daichi Chou_


sabato 15 dicembre 2012

Storia di un uomo.


Salve a chiunque di voi stia leggendo, il brano che ho pubblicato quest'oggi è stato frutto di una lunga e laboriosa riflessione ed elaborazione, diversamente dai miei soliti scritti che sono messi su carta di getto! Qui ( anche se è quasi puramente fantasia) c'è molto di me, della mia esistenza. Spero di averla resa con giustizia.



Quando conobbi Annie  il vento rabbioso che da mesi modellava la sabbia era appena cessato.
Le nuvole davano tregua alla luce, ed essa, tentennante, raggiungeva il suolo e i bordi delle strade si macchiavano di un verde spontaneo.
Le mattine, ancora un po’ fresche, erano dello stesso celeste pallido dei suoi occhi.
Quegli immensi occhi da bambina, un po’ sbiaditi e un po’ sfuggenti.
I suoi occhi spuntavano fuori dal viso come fanno i fiori di campo quando ormai la neve sciolta disseta la terra… e come li accarezzavo, quegli occhi.
Lei, Annie, la primavera, con le sue mani fine e le parole corte.
I respiri densi.
Era la leggerezza che calpesta i rancori, la fioritura improvvisa, la più profumata, la più breve.
Quelli di maggio erano i fiori che nemmeno potevano sbocciare senza sfregiarsi subito.
Così era il nostro amore, brillante come i suoi capelli biondi, ma non durevole. Non scavava a fondo, restava in superficie.
Era l’illusione tiepida della notte che precede i giorni dei monsoni.
Delle tempeste silenziose.
Della sua sincera assenza.


E arido fu poi l’autunno di quell’anno.
Ed è per Jusy che, dopo che l’estate torrida aveva seccato ogni parte buona del mio cuore,  io vagavo calpestando le foglie cadute, calciando gli sguardi altrui.
Non mi ero mai odiato tanto.
Ma la colpa non era sua.
Se tremavo quando passavo le dita fra i suoi capelli bruni, era per paura.
E socchiudevo gli occhi pieni di incubi quando poggiavo la guancia sui suoi seni piccoli.
Era convinto che forse, in lei, avrei ritrovato un po’ di me stesso.
In lei, nella ragazza con le sopracciglia aggrottate, dal carattere forte ma dalle parole fragili.
Pensando a lei scagliavo la mia immaginazione contro un cielo grigio perla, mentre, silenziosamente attendevo il termine.  L’ultimo respiro del nostro grande sbaglio: quell’attrazione vuota, sebbene devastante.
E così ho visto il suo sguardo voltarmi le spalle e non cercarmi mai più. Così come le rondini erano ormai migrate da settimane.
Ma tutti noi eravamo migrati lontani, da quei calmi e solitari giorni di novembre.



Oh tu, Emi, come mi spezzasti il cuore.
Io che avevo smesso di credere anche in dio affidai la mia fede a te, un donna venuta con il gelo.
Dedicai innumerevoli versi ai tuoi capelli d’inchiostro.
Ai tuoi occhi di seta nera.
Alla pallida pelle, alle dita sottili.
Al modo in cui la tua figura longilinea lasciava lievi impronte sulla neve.
Neppure adesso riesco a spiegarmelo quel miracolo fulmineo.
E sono sicura che le nuvole create dai nostri respiri ora siano in cielo, chissà dove a nascondere le stelle.
Tante erano le notti senza luci, passate a contare i pensieri, ad abbattere pareti.
Ma dietro alle tue pareti non c’erano tesori,  solo pozzi,  profondi  vuoti.
L’inconsapevolezza ti rendeva santa, o forse mostruosa e faticavi a trattenere le tue paure fra le labbra carnose, mentre io impazzivo per trattenere il tuo odore.
Fortissimo, accecante, il tuo profumo sovrastava ogni cosa: la pioggia, il freddo, il rumore, il silenzio, i rami spezzati ed il vento. La perdita.
Oh Emi, e tra le tante follie, piano piano, smisi di credere anche in te.
Ma il tuo odore, delle volte, lo sento ancora.  


Non so descrivere ciò che rimane. Ciò che è rimasto.
Mi blocco al pensiero di quel che ci siamo lasciati dietro e che in pochi mesi ha bruciato la terra.
Eppure ogni terreno divenuto sterile, prima o poi saluta l’arrivo dell’estate.
Raccoglie il suo calore e germoglia di nuovo.
Joanne diceva di amare i miei occhi. Io non l’ascoltavo.
Non ascoltavo nessuno, nemmeno chi mi avvertiva che una donna come lei, che appare come il sole sceso tra le ceneri, infiamma gli animi ma affama i cuori.
Poveri noi, uomini stolti. Innamorati della sua finta pudicizia.
Canzonati dai suoi occhi ridenti.
Verdi.
Mai visti occhi così. Accesi, intensi, poi di colpo seri, velati e poi di nuovo irrisori.
Ero stordito dalla sottile patina di sudore della sua pelle lucida. Calda, bollente.
La baciavo sotto il suono dei grilli di agosto.
Ma eravamo in troppi ad amare i suoi occhi vispi, e lei non amava nessuno. Se non se stessa.
Così l’ho semplicemente lasciata andar via, mentre il tramonto, afoso, designava la fine di un ciclo che non poteva essere diverso da quello che era stato.

E ora realizzo per la prima volta, ripensando a tutte le stagioni passate, che ci sono uomini come me, persone come me, che sono nate per camminare da sole.

_Daichi Chou_




domenica 25 novembre 2012

E POI IL RISVEGLIO.




Io credo di aver trovato l'amore.
Nei tuoi occhi dorati ho visto la sincera nudità di ogni parola del mondo.

Sei come il grano che matura lento, spiga, sfida il sole con le sue punte.

Mi sembra che queste foglie sfiorino il cielo.
Non lasciarmi cadere,
mi dissolverei nell'aria umida di agosto.

Settembre, arriva presto, voglio con tutta me stessa,
con ogni parte di me,
con ogni brandello di questa emozione che tu sia mio.

_Daichi Chou_